Pochi giorni fa, in una pausa pranzo tra colleghi, si parlava dell’Autunno e di come nello specifico i passaggi delle stagioni siano profondamente cambiati rispetto a quando eravamo bambini (per noi nati a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ormai parliamo di più di 25 anni fa…).
Erano per l’appunto gli anni ’80 e ciascuno di noi conserva ricordi intensi e indelebili legati al passaggio dall’estate all’autunno. Si perché allora l’autunno esisteva (non come ora, epoca in cui non è mai stato tanto vero il detto popolare ‘non ci sono più le mezze stagioni’).
C’è chi trascorreva agosto in montagna (nelle Dolomiti al confine tra Belluno e l’Alto Adige) e ricorda vividamente quando le giornate iniziavano ad accorciarsi e di sera si indossavano i primi pile o giubbotti pesanti per uscire. Sere in cui gli odori e le sensazioni del primo freddo sulla pelle erano notevolmente mutati rispetto alla prima metà di agosto. E quando ormai agli ultimi di giorni di vacanza si mischiava una strana malinconia (un mix di placida tristezza per una stagione che se ne andava – quella del sole sulla pelle, dei giri in bicicletta, della libertà e del non avere orari e dei primi batticuori estivi destinati a perdersi tra il profumo di salsedine e le promesse di scriversi durante la scuola e l’inverno).
C’è chi come me è cresciuta vicino a quelle montagne (gli amici del mare mi soprannominavano sempre ‘Heidi’ pensando probabilmente che a Belluno in giardino tenessi una mucca e delle caprette ‘a farmi ciao’). E che sente ancora vibranti sulla pelle e nel cuore le sensazioni delle stagioni che passavano. Dell’estate che diventava autunno e dell’inverno che si trascinava dietro la primavera.
Dei profumi, degli odori, della percezione del sole e dell’aria che mutavano sulla pelle. Trasformazioni percettive fisiche che diventavano un tutt’uno con il mood dell’anima.
Un’esplosione di emozioni.
Oggi che vivo in pianura non è più la stessa cosa. L’autunno ha profumi diversi, sensazioni diverse. Il clima è cambiato. E si aspetta novembre inoltrato per mettersi un giubbotto più pesante se non addirittura dicembre per infilarsi un cappellino di lana.
Inevitabile che questo influisca sullo stato d’animo…in qualche modo.
Per me l’autunno era passeggiare nel bosco, con il freddo già pungente ad ottobre, e correre sopra le foglie già a terra e fare crich croch con gli stivali di gomma. Sentire il profumo del bosco. Di funghi, di erba bagnata e muschio. Di castagne. E noci da raccogliere dagli alberi.
Rientrare con le gote arrossate e la gola che pizzicava a casa della nonna a Plois e scaldarsi le mani e il cuore con una tazza di the caldo ai frutti rossi. Inzuppando biscotti burrosi e ascoltando nonno che parlava degli avvistamenti dell’Aquila reale alla fine del sentiero del bosco.
Autunno nell’adolescenza erano le canzoni dei Counting Crows sparate nelle cuffiette del walkman mentre pedalavo intabarrata nei maglioni di lana per andare a scuola. Erano i sabato pomeriggi a chiacchierare nel cortile sotto casa con il sole che scaldava ancora un pò ma l’aria era già pungente e la scuola era appena iniziata, i compiti non erano ancora pesanti e le interrogazioni ancora lontane, passavamo il tempo a scrivere sulla Smemoranda citazioni che sarebbero poi servite per i temi di italiano e a pianificare le prime feste serali dell’inverno a casa di quelli più grandi di terza liceo.
Era la sensazione di un nuovo anno che iniziava. Cadevano le foglie. Moriva una stagione e ne partiva un’altra. E a seconda di quante nocciole si raccoglievano dagli alberi ci si chiedeva quanta neve quell’inverno sarebbe caduta.
Autunno di colori e sfumature di pastelli accesi. Dei cappotti beige della nonna. Della zucca e delle zuppe, del vino rosso e delle cioccolate calde.
Un tempo scandito chiaro e netto dal paesaggio fuori, dalle montagne che si tingono, dalla natura, dal crepuscolo.
Domenica pensavo a tutto questo.
Domenica, passeggiando in Cansiglio mi sono finalmente accorta che e’ arrivato l’Autunno (in pianura, in citta’, ero in uno strano limbo spazio temporale senza nome ne stagione).
E mi sono sentita a Casa. Mi sono sentita bene.
Ho respirato aria pulita. Ho camminato nel bosco in cerca dei cervi, seguendo l’eco dei bramiti. E mi sono riempita le orecchie del silenzio della natura.
Abbiamo avvistato una trentina di cervi, a gruppi di dieci e qualche cervo isolato nei pascoli. Nel silenzio, mentre ascoltavamo solo i bramiti e ci guardavamo attorno ad un certo punto mi sono girata e a pochi metri da me c’era un cervo femmina immobile e sospetta che ha incrociato il mio sguardo per qualche secondo per poi sparire nel bosco. Ho pensato a come quel posto non era nostro. Come eravamo ospiti, li’, in mezzo alla natura. Dove ci sono tempi che non siamo più in grado di assecondare. Dove tutto e’ in una dimensione vicina ma allo stesso lontana come dentro una bolla di sapone ovattata che può scoppiare da un momento all’altro spezzando l’incanto.
Mi sono sentita piccola e di nuovo bambina. E sarei stata li ancora ore a riempirmi il cuore di ‘natura’.
Ad un’ora di macchina. L’incanto dell’autunno.